Bersani
Nella campagna sul referendum costituzionale è entrata pure la vittoria di Trump. Il sì e il no hanno sempre meno a che fare col merito della riforma.
Accordo generico sul Senato e unanimità grazie alle assenze: non è pace improvvisa, né è detto che duri, ma comunque sulle riforme il Pd (per ora) non si scanna, perché non conviene a nessuno.
La minoranza Pd deve decidere: o con Renzi, sperando di cambiarlo, o contro, verso Landini e Vendola. Ma non può restare a lungo nella terra di mezzo.
Sospetti e mancanza di fiducia, accuse reciproche, minacce: il Pd non arriva in gran forma al voto sul Quirinale.
Caos primarie in Liguria, forse saltano in Campania (e non è una novità): se il Pd non è in grado di controllarle, lasci perdere.
Susanna Camusso l’aveva detto alle primarie 2012: se vince Renzi è un problema. Per la Cgil sicuramente. Ma anche per il Centrosinistra?
Il Pd se le dà sul jobs act: da solo è maggioranza e opposizione. Il problema vero della riforma non è l’identità della sinistra, ma le risorse.
Rapporti ai minimi storici tra Cgil e Pd dopo lo scontro tra Camusso e Renzi. Ma a molti non dispiace, per motivi diversi.
Pd diviso sul Jobs act, nella speranza di trovare un’intesa sulla delega, e sulla giustizia. Ma Renzi è Renzi quando strappa, non quando media.
Un anno fa sul palco c’era Epifani, oggi è cambiato il mondo: Renzi chiude la festa dell’Unità da segretario e premier. Ma il Pd gli serve ancora?
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